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Riflessioni in vista della COP26

Il capitalismo costituisce il punto di negatività assoluta. Non è possibile migliorarlo, ricostruirlo o rinnovarlo, magari aggiungendo al termine un prefisso di moda come “ecocapitalismo”. L’unica alternativa possibile è distruggerlo, poiché ha ormai incorporato tutte le patologie sociali (patriarcato, sfruttamento, statualità, egoismo, militarismo, crescita illimitata) che hanno afflitto la “civiltà” e inquinato tutte le sue conquiste.
(M.Bookchin)


Dall’1° al 12 novembre di quest’anno si terrà quella che è stata indicata come la più importante conferenza delle parti (Conference of Parties, da qui l’acronimo COP) dall’accordo di Parigi (COP21, 2015).

IL SISTEMA DELLE COP
Le COP nascono nel 1992 con la nascita dell’UNFCCC (Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici) ed hanno l’obiettivo di permettere l’incontro tra le diverse parti negoziali (ossia diversi gruppi di Stati nazionali) per decidere le politiche di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.
Si tratta di grandi eventi annuali, in cui scienziati ma soprattutto burocrati e politici dovrebbero partire dalle solide basi scientifiche fornite, ad esempio, dai diversi report dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, Intergovernmental Panel on Climate Change) per definire le proprie politiche.
Ci sarebbe da approfondire anche la pavidità dimostrata negli scorsi anni da numerosi scienziati, incapaci di comunicare chiaramente le responsabilità della catastrofe climatica in cui viviamo, ma non è questo il momento.

L’ACCORDO DI PARIGI
Tornando alle COP, con l’Accordo di Parigi del 2015 (ossia con decine di anni di ritardo rispetto agli allarmi che già a fine anni ’80 portarono il tema del cambiamento climatico nelle agende dell’ONU) i governi dovrebbero, ma non c’è alcun obbligo vincolante, presentare dei piani di riduzione delle emissioni nazionali (INDC), da rinnovare in modo più ambizioso ogni 5 anni, in modo tale da garantire che la temperatura media terrestre non superi il +1.5°C a fine secolo.
Ad oggi, manco a dirlo, se teniamo conto degli INDC presentati, la temperatura a fine secolo arriverebbe a +2.7°C; se invece teniamo conto delle politiche realmente attuate (perché c’è differenza tra le promesse dei governi e le politiche reali, e tale differenza è chiamata greenwashing) la temperatura a fine secolo dovrebbe arrivare a +3°C.

Un aumento di 1.5°C provocherebbe effetti disastrosi, ancora peggiori di quelli già attualmente in corso (ad oggi la temperatura media terrestre rispetto al periodo pre-industriale è aumentata di circa 1.2°C: manca davvero poco a 1.5°C) e incontrovertibili: fusione delle calotte artiche, dei ghiacciai alpini, aumento in frequenza e intensità degli eventi estremi (nubifragi, siccità, ondate di calore, bombe d’acqua, uragani etc), interruzione della corrente del Golfo, aumento del livello del mare e così via.

GIUSTIZIA CLIMATICA
C’è di più: gli effetti del cambiamento climatico non sono equamente distribuiti nel mondo, così come non lo sono le responsabilità.
Se sei pover*, se sei donna, se sei un soggetto razzializzato, se sei nat* in un paese colonizzato, o ti ritrovi ai margini di uno industrializzato la cui economia si basa sullo sfruttamento di persone e natura…soffrirai di più.
Chi potrà permetterselo, perché ricco, perché non soggetto a discriminazioni di genere/provenienza/nascita, avrà più strumenti per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico, ad esempio comprandosi una casa in un luogo più sicuro.
Tutt* gli/le altre saranno costrette ad emigrare (migranti climatici). Dovranno fuggire dalle loro terre, rese aride o inondate dal mare, rese insicure dalle guerre che gli stati coloniali (responsabili della crisi climatica) continueranno ad alimentare per assicurare risorse e consumo illimitato alle proprie industrie e ai propri cittadini benestanti.

Chi si ostina a chiamare la nostra era “antropocene“, oltre a mostrare un’ottica poveramente antropocentrica, “dimentica” che non tutta l’umanità è ugualmente responsabile dei disastri ambientali in cui siamo immersi. Sarebbe meglio parlare di “capitalocene“, individuando così i veri responsabili: tutti quegli individui, governi, imprese che continuano a sfruttare altri esseri viventi con lo scopo di accumulare ricchezza e potere.

Il cambiamento climatico riguarda perciò ogni aspetto delle nostre vite, e si interseca con ogni altra nostra lotta: anticlassismo, antirazzismo, antisessismo, antispecismo, ecologismo e, ovviamente, anticapitalismo.

LA NOSTRA POSIZIONE
Noi siamo contrari* al sistema delle COP.
Innanzitutto per i contenuti. Dopo 26 COP (difficilmente si uscirà da Glasgow con reali cambiamenti di rotta, i governi sono troppo concentrati sugli interessi nazionali e del capitale) nulla di concreto è stato fatto per arrestare il sistema economico che ci ha portato a questa crisi climatica e sociale.
Le soluzioni proposte dal capitalismo verde, così di moda che da noi hanno pensato bene di istituzionalizzarne le dottrine in un apposito ministero, sono solo l’ennesimo atto negazionista degli effetti del cambiamento climatico, e si basano ancora sull’idea che le risorse del pianeta siano infinite, si basano ancora sulle idee (fondative della società occidentale come la conosciamo oggi) del dominio dell’essere umano sull’essere umano e del dominio dell’essere umano sulla natura.

Ci opponiamo non solo ai contenuti confusi e inefficaci delle COP, ma anche al loro metodo decisionale verticistico: non deleghiamo a qualche decina di rappresentati politici e alla massa di burocrati la decisione sulle nostre vite.

LE COMUNITA’ RESISTENTI
Da anni proviamo a praticare un modello di vita differente.
Lottiamo per costruire reti interdipendenti e autogestite di Comunità Resistenti.
Comunità umane inserite nel loro contesto territoriale, ecosistemi razionali in cui proviamo a mettere in pratica valori ecologici quali la complementarità (contrapposta alle gerarchie di potere presenti nella nostra società), il mutuo aiuto (contrapposto alla competizione tra individui fondamento del liberismo), il senso del limite (contrapposto al consumismo fine a sè stesso propostoci come scopo di vita), la cura (intesa come “prendersi cura” e non come la medicalizzazione di malattie causate da una società opprimente e produttivistica), l’uguaglianza sostanziale (contrapposta all’uguaglianza formale delle leggi statali, che non tengono conto delle differenze tra gli individui) e il rispetto verso ogni altra forma di vita.

Pensiamo che, per quanto il cammino sia lungo e difficoltoso, questa sia la strada da percorrere per arrivare ad una società felice, superando non solo i problemi derivanti dal cambiamento climatico ma anche quelli derivanti da ogni altra forma di discriminazione sociale, da ogni forma di dominio e violenza.
Una strada che deve necessariamente essere condivisa e costruita insieme, e non imposta da nessun organismo internazionale, nazionale, istituzionale o meno.


Approfondimenti e tematiche affini:
http://www.zam-milano.it/manifesto/
http://www.zam-milano.it/pillole-di-ecologia/
www.zam-milano.it/il-cemento-cosi-bello-prendera-anche-il-ticinello/
http://www.zam-milano.it/ama-il-tuo-quartiere-ferma-sto-cantiere/

VOGLIAMO GIUSTIZIA!

#cacciamoli

20 giugno 2021, ore 15-19 @ palazzo Regione Lombardia

Il 20 giugno 2020 siamo scesə in piazza per ribadire con forza il nostro dissenso rispetto alla disastrosa e criminale gestione dell’emergenza sanitaria di Regione Lombardia.

Un anno dopo torniamo sotto quel palazzo perché la giunta non si è mai assunta le sue responsabilità e il sistema socio-sanitario lombardo, nella gestione dell’onda lunga dell’emergenza, si dimostra ancora inefficiente e discriminatorio.

In Lombardia il numero di morti da Covid 19 è stato enorme: agli oltre 33.700 ufficialmente registrati vanno aggiunti i decessi legati ad altre patologie e alla mancanza di accesso ai regolari servizi di cura.
Un anno dopo le famiglie sono ancora sole nella gestione delle fragilità, e i medicə e tutto il personale sanitario vivono ancora in uno stato di precarietà dopo i massacranti sacrifici legati alla gestione pandemica.

La salute in Lombardia e in tutto il nostro paese è diventata una macchina del profitto. La legge regionale 23 del 2015 è solo l’ultima tappa di un processo portato avanti fin dai primi anni duemila dalla politica leghista (Formigoni, Maroni, Fontana) che ha privatizzato la sanità sulla pelle delle persone, soprattutto coloro che non possono e non vogliono accedere ai servizi privati.

Nel corso degli ultimi decenni il taglio delle spese di manutenzione e risanamento delle strutture socio-sanitarie territoriali ed ambulatoriali è stato costante, mentre parte della spesa pubblica viene destinata a strutture private convenzionate.

Avevamo in Lombardia una rete capillare di medicina territoriale e di prevenzione, distrutta a favore di una visione “ospedalocentrica” che di fatto ha scavato un solco rispetto alla possibilità di accedere alle cure in maniera pratica e agevole o di prevenire le malattie.

Il numero di medicə di base, pediatrə, infermierə, e più in generale il personale sanitario si è dimostrato nel corso dell’ultimo anno notevolmente sottodimensionato rispetto alle necessità di cura.

Pensate che siamo ancora dispostə ad attendere pazientemente una risposta a tutte queste ingiustizie? No, non vogliamo e non possiamo più aspettare!

In queste settimane la giunta regionale sta preparando una nuova riforma sanitaria che espande ancora di più il ruolo dei privati cercando di rendere la salute lombarda l’equivalente di un libero mercato sempre più deregolamentato e scoordinato, e destinando ancora più risorse pubbliche a gruppi che profittano sulla salute.

Invece di rispondere allo smantellamento della sanità sul territorio istituendo delle strutture come i Distretti, evoluzione delle ex ASL, capaci di coordinare il lavoro di prevenzione, cura, quello dei medici di base, degli psicologi, degli assistenti sociali e dell’assistenza domiciliare. La proposta di riforma della giunta regionale vuole lasciare il settore privato libero di “metterci una pezza” finanziando la realizzazione di strutture private di prossimità con risorse del Recovery Fund, rendendo più facile l’assegnazione di appalti “in blocco”, anziché struttura per struttura, ai grossi gruppi della sanità privata e lasciando al pubblico una mera funzione di controllo amministrativo, senza poteri di coordinamento e senza una vera e propria programmazione in funzione dei bisogni di salute dei cittadini.

La sanità privata non deve essere finanziata con i soldi pubblici!
La salute non è una merce e dovrebbe essere affidata solo al pubblico, con una presenza sul territorio omogenea rispetto alla popolazione residente, capace di offrire benessere e prevenzione grazie alla cooperazione di tutte le figure professionali che curano vari aspetti della salute degli individui e della salute collettiva nei luoghi di lavoro e di vita, prevedendo anche forme di assistenza domiciliare e di partecipazione della cittadinanza alla pianificazione regionale e territoriale della sanità.

In questo anno e mezzo di crisi pandemica e sindemica le comunità si sono auto organizzate per sopperire alla mancanze regionali e municipali in relazione alla profonda crisi economico/sociale e sanitaria che stiamo vivendo.

Le brigate volontarie per l’emergenza, le varie brigate sanitarie e tutti i soggetti informali e non, ad oggi, proseguono un lavoro essenziale legato a virtuosi progetti di mutualismo nei territori. Dal basso stiamo provando a costruire i meccanismi di cura e supporto, partendo appunto dai bisogni che le nostre comunità esplicitano e a cui il sistema non dà una risposta.

Anche grazie a questa ripresa dei processi comunitari, siamo convintə che l’opposizione alla mercificazione del sistema sanitario debba necessariamente partire dal basso, con l’unico paradigma possibile: cura e sanità pubblica, comunità e mutualismo.

Siamo convintə che le comunità solidali e resistenti devono ricostruire una società della cura: una società ecologica, transfemminista e senza discriminazioni che possa prevenire pandemie e restituire dignità a noi tuttə.

Noi portiamo tutto il peso della perdita delle persone care, ma questo peso è anche il motore per agire un cambiamento reale, per evitare che non accada mai più. Le coscienze delle persone responsabili della gestione scellerata dell’emergenza ci sembrano invece fin troppo leggere. Questa indifferenza le rende disumane e così anche lo schifoso scaricabarile che si svolge sotto i nostri occhi.

Non siamo più dispostə ad accettare che regione Lombardia e i suoi governanti continuino la criminale gestione della sanità lombarda, non siamo più dispostə ad aspettare che le cose cambino, proviamo a dare una spinta dal basso!

Ci vediamo tuttə il 20 giugno sotto la Regione!

Aderiscono:
CAAB
COORDINAMENTO STUDENTESCO AZADI
BARAONDA
BRIGATA DI SOLIDARIETÀ POPOLARE MILANO SUD
BRIGATA ORSO
BRIGATA LENA MODOTTI
BRIGATA PEDRETTI
CARC
COMITATO DIFESA SANITÀ PUBBLICA ZONA SUD OVEST CITTA’ METROPOLITANA
COMITATI PER IL RITIRO DI QUALUNQUE AUTONOMIA DIFFERENZIATA – LOMBARDIA
CUB
OFF TOPIC
COORDINAMENTO REGIONALE DELLA LOMBARDIA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE – CAMPAGNA DICO 32
ECOLOGIA POLITICA
FORNACE
GRATOSOGLIO AUTOGESTITA
FORUM PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
KASCIAVIT
MEDICINA DEMOCRATICA
MEMORIA ANTIFASCISTA
NON UNA DI MENO MILANO
PARTIGIANI IN OGNI QUARTIERE
PARTITO RIFONDAZIONE COMUNISTA MILANO
PRC LOMBARDIA
SINISTRA ITALIANA
CASCINA TORCHIERA
ZAM


COMUNICATO STAMPA

Vogliamo giustizia!
Presidio
20 giugno, ore 15-19
P.zza Città di Lombardia (lato via Melchiorre Gioia)
A un anno dalle manifestazioni che denunciarono il fallimento del “modello Lombardia” nella gestione dell’emergenza pandemica, Milano torna in piazza. L’appuntamento è alle ore 15 di domenica 20 giugno per un presidio sotto al palazzo dove ha sede il governo di centro-destra che negli ultimi vent’anni ha disarticolato la sanità pubblica regionale, trasformando la salute in una macchina per il profitto.
Dietro allo schermo spettacolare della campagna vaccinale, basata sulla mobilitazione di personale volontario e sulla sottrazione di risorse umane alle strutture pubbliche, chi abita in Lombardia sperimenta le inefficienze del sistema lombardo. Basti pensare alle liste d’attesa per esami e visite: nel 2020 si è dovuto aspettare fino a 180 giorni nel 68% dei casi di prestazioni richieste con il sistema sanitario nazionale, solo il 21% hanno atteso fra i 30 e i 60 giorni, l’8% entro 10 giorni, il 3% entro 72 ore. Decisamente più bassi i tempi di attesa per le prestazioni in attività libero professionale (fornite in oltre il 60% dei casi entro 10 giorni).
Nel frattempo aumentano i fondi destinati alla sanità privata. Gli ultimi provvedimenti della giunta destinano alla sanità privata, nel 2021, circa 7,5 miliardi di euro (nel 2013 erano 2 mld). Per dare un’idea: nel 2017 il Gruppo San Donato, che si prende la fetta più grande di mercato, ha ricevuto 757,3 milioni di soldi pubblici, mentre ai 7 ospedali pubblici della ex Asl di Milano città andavano 744,1 milioni di euro. Il sistema sanitario basato sull’accreditamento di strutture private si è rivelato costoso, non coordinato, inefficiente.
La Lombardia da tempo investe in prevenzione una percentuale del Fondo sanitario ben al di sotto del 5% stabilito dagli indirizzi nazionali. Dalla metà degli anni ’90 al 2018, i posti letto pubblici sono stati più che dimezzati. Nel 2020 i posti privati per le malattie infettive erano solo il 6% del totale regionale e i posti in pneumologia il 7%.
Non dimentichiamo che la letalità del Covid in Lombardia rispetto ai contagiati è stata il doppio della media nazionale e tre volte quella del Veneto. Che il 28% sul totale delle denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 nel 2020 arrivano dalla Lombardia, con 37.208 su 131.090, di cui 159 (il 37,6% del numero totale) con esito mortale e che ad essere colpite sono state in maggioranza le donne (72,5%).
“Noi portiamo tutto il peso della perdita delle persone care, ma questo peso è anche il motore per agire un cambiamento reale, per evitare che non accada mai più. Le coscienze delle persone responsabili della gestione scellerata dell’emergenza ci sembrano invece fin troppo leggere” dichiarano le organizzazioni promotrici. “Siamo convintə che l’opposizione alla mercificazione del sistema sanitario debba necessariamente partire dal basso, con l’unico paradigma possibile: cura e sanità pubblica, comunità e mutualismo”.