Indice di persistenza
La rivoluzione comunitaria e il municipalismo libertario.
“La presunzione che ciò che esiste debba necessariamente esistere è l’acido corrosivo di ogni pensiero immaginativo.“
Viviamo oggi in un presente complesso, in cui gli attacchi da cui ci dovevamo proteggere diventano metodo e legge, creando una distanza siderale tra corpo politico istituzionale e sovranità popolare.
La democrazia classica è ormai delegata alla rappresentanza burocratica di quei soggetti professionali che spesso fanno corrispondere le loro identità politiche con quelle dei grandi interessi economici.
Si è persa nel tempo quell’utopia di costruire una politica ecologica e organica per lasciare spazio alla sua formalità e struttura (nella raffigurazione verticale del termine).
La metropoli in cui viviamo, i territori che attraversiamo sono la cartina tornasole di questo processo di estrazione della decisione rispetto al comprensione comune e all’agire collettivo legato a ciò che accade dove viviamo.
La creazione di un potere alternativo non è una soluzione praticabile.
Questo perché politicamente si osservano orizzonti diversi, legati ad una politica decentrata e confederale.
Nel quadro brevemente descritto, dove le matrici predatorie sono ormai meccanicamente implacabili, occorre trovare un modo per modificare radicalmente la società.
Nel cercare di comprendere come sia possibile un agire rivoluzionario oggi, non possiamo che riflettere su quanto sia necessario destituire lo stato-nazione e costruire un municipalismo libertario che possa permettere ai territori di confederarsi nel meccanismo immaginativo della comune delle comuni.
Basta guardarsi intorno, quanto la disaffezione alla politica sia una parabola ascendente, quanto la centralizzazione della decisione sia deleteria e distonica rispetto alla volontà comune e di riappropriarsi della decisione.
I territori che attraversiamo hanno, come teorizza Bookchin, un indice di persistenza che mai si è sopito e che ora, nel divenire rivoluzionari, diventa una sistema di propulsione e cambiamento radicale.
“in modo intuitivo la gente sta cominciando a dare forma a proprie istituzioni per esprimersi nell’ambito pubblico, e lo fa con tale ostinazione che è facile prevedere come la politica localista sia destinata a diventare una forza irrefrenabile. Oltretutto la natura, spesso effimera di molte di queste istituzioni e organizzazioni di base non va letta come indice di insuccesso ma al contrario come indice di persistenza“
Ci sono molti interrogativi nel poter immaginare un sistema che proponga un alternativa reale, partendo anche dalla non-volontà di confluire o in un sistema capitalistico classico e nemmeno rifugiarsi in un sistema municipale chiuso, dove non esiste dialogo tra i vari soggetti e dove il federalismo viene utilizzato come motore di esclusioni razziste e xenofobe.
Come far si che questa apparente uniformità di persistenze locali costruisca un soggetto in grado di non divenire Stato ma bensì di riappropriarsi del proprio auto governo?
Come costruiamo un meccanismo che non sia localista ma che preveda un interazione molto più ampia? Come far si che la politica e la sovranità possano tornare nelle assemblee cittadine?
A tutti questi interrogativi non abbiamo la presunzione di dare una risposta certa, ma proveremo a costruire una narrazione che ci indichi quale potrebbe essere la via più giusta, partendo proprio dai territori in cui lottiamo quotidianamente.
Costruire comunità:
viviamo in una fase storica in cui i movimenti di massa sono pressochè nulli, sopratutto se ci limitiamo ad osservare il nostro contesto geografico (Stato).
La ridefinizione dell’agire politico è ormai delegato in gran parte nelle interazioni digitali.
La politica partitica nostrana spazia da l’immenso populismo del m5s alla spropositata quantità di moralismo da social network, mentre al di fuori del codice binario l’alterazione sistemica della politica apre ancor più la strada al sistema neoliberista.
Mentre le nuove linee politiche “da destra” riescono a coagulare consensi intorno a poche chiare parole d’ordine. Offerta politica vincente in tempi di incertezze e diffusa miseria.
Sul piano cittadino, la politica di rappresentanza cerca sempre di sussumere i movimenti, proponendo (nello specifico il caso di Milano e la sua giunta arancione) in programma di cittadinanza attiva, che assume le resistenze che cedono al ricatto istituzionale e diventano motivo di vanto della giunta comunale.
Costruisci, crei e resisti per essere immedesimato e dichiarato come successo da chi opprime e debilità il nascere degli stessi.Per divenire pilastro del successo (immeritato) dei altri soggetti. Incapaci di assumersi la responsabilità, incapaci di avere il coraggio di fare scelte di parte.
Il paradosso dei paradossi.
Con questo non vogliamo vivere di miopia e screditare il lavoro di chi, seppur soggetto associative e/o istituzionale lavora e produce conflitto, cultura e aggregazione nei territori.Nella critica partiamo proprio dalla relazione con gli stessi soggetti per descrivere le difficoltà che questi hanno nel poter sopravvivere senza restare schiacciati nella centralità della decisione rispetto al futuro dei territori.
Esiste però una persistenza, legata a quei soggetti di svariate forme e identità che in maniera non indotta cercano di avvicinarsi tra loro, scoprendo il senso di comunità.
Sono contesti in cui non vige il pensiero unico e le particolarità di ognuno diventano il valore aggiunto che permette a questi soggetti di aprire una breccia in questo oscuro momento storico. In questo modo rendono reale la propria essenza, si distinguono dal potere in quanto creano decisione e compiono le proprie scelte tutelando il pensiero e la posizione di tutti. Scegliendo collettivamente come agire.
Sta proprio in questa distanza la necessità di vivere in un autonomia e un autogoverno che risponda in maniera capillare alle esigenze territoriali.
In questo riconosciamo la differenza politica tra amministrazione statale e municipalismo.
Non ci può essere una compartecipazione dei due soggetti, perché i meccanismi decisionali e la necessità di decentrare la decisione costruiscono l’antitesi.
L’indice di resistenza è tale che nonostante la politica istituzionale cerchi di sussumerli, nonostante la fase storica difficile e cupa, le comunità resistenti perseguono obbiettivi chiari e mantengo dei presidi di libertà e partecipazione decisionale all’interno dei vari nodi metropolitani e rurali.
Noi, vivendo e agendo spesso come questi soggetti, tra questi soggetti, abbiamo il compito di coagulare le resistenze e confederarci con i vari attori in campo.
Unendo le particolarità si può creare un soggetto più ampio e autonomo che garantisca un autonomia dallo statalismo
Sempre per evitare di immaginare un divenire nichilista ci interroghiamo su come si possa momentaneamente convivere con il governo della città, aprendo spazi di discussione molto più ampi che possono comprendere anche modelli istituzionali, ma che sempre hanno l’aspettativa di costruire una comunità che è in opposizione allo statalismo.
Solo così, senza incorrere nella cecità politica, utilizzando con cautela le varie contraddizioni che ci si pongono di fornite, possiamo e dobbiamo iniziare a costruire delle comunità politiche nei nostri territori.
L’oggi lo richiede, come l’indice di persistenza richiede di divenire un indice rivoluzionario e insorgente.
Confederare le comunità:
Possiamo dire con chiarezza che la costruzione di comunità territoriali è comunque una soluzione parziale nel divenire rivoluzionari.
Le comunità che scelgono di unirsi e praticare solo ed esclusivamente una politica localista sono destinate a chiudersi degli spazi che spingono, nella migliori delle ipotesi sono destinate ad un isolamento, nella peggiore a razzismo e xenofobia.
Da qui nasce la necessità di confederare le varie comunità che si costruiscono nei territori.
Da qui nasce la necessità di avere come unico orizzonte possibile la costruzione di comunità che nascono insieme confederate.
Questa aspettativa può essere letta dai più come un irrealizzabile utopia, ragionare su un piano di autogoverno localista e municipale in un momento storico in cui l’amministrazione, la proprietà, la produzione, le burocrazie e i flussi di potere tendono alla centralizzazione.
“la concezione secondo cui le comunità decentrate sono una sorta di “atavismo” pre-moderno, o meglio anti-moderno, riflette l’incapacità di di riconoscere che una comunità organica non deve necessariamente essere un organismo in cui le componenti individuali sono subordinate all’insieme collettivo, e rimanda a una concezione dell’individualismo che confonde l’individualità con egoismo“
Il trasformare questa utopia in materialità sta alla base della necessaria propulsione per pensare che le comunità politiche possano federarsi l’un l’altra, mantenendo un livello di individualità che sia messo a valore in un organicità complessiva.
Il tentare di costruire questa complessità è la soluzione per evitare una regressione autoritaria, tanto quanto una progressione autoritaria.
Confederare le nostre comunità, per creare un sistema che possa porci nella condizione di non sviluppare un altro potere statale, bensì poter “governare” un territorio e non amministrarlo.
Confederare le comunità significa saper leggere complessivamente la realtà, partendo dalle singole specificità dei luoghi, per mantenerne una visione attenta, etica ed ecologica.
Costruire comunità in questo senso significa per noi anche confederare tutte le forme di lotta che si spendono per la creazione di una vita migliore, tutte con le proprie forme di vita e rivoluzione da attuare.
Per definizione di confederalismo democratico non c’è forma di comunità politica più ampia, più forte, più giusta di altre. Non pensiamo nemmeno che la forma di comunità sia l’unica plausibile per attuare le rivoluzioni di cui abbiamo bisogno.
Un approccio marxista al municipalismo.
“Come lo Stato non è sempre esistito, ma è sorto dalla divisione della società in classi, così esso sparirà quando l’esistenza di queste classi cesserà di essere una necessità. La società, riorganizzata la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, <<relegherà l’intera macchina statale nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo>>“.
Parlare di stato o di municipalismo libertario vuol dire semplicemente riscrivere i confini basandoli su principi diversi da quelli dello stato-nazione, ma che però per loro natura non ripudiano (e anzi si adattano) al modellamento di quella che è stata la naturale evoluzione dello stato-nazione, quantomeno in Italia.
Il municipalismo libertario può diventare un metodo che ricostruisca quelle persistenze sempre più atomizzate. Oggi come oggi, dopo che il tessuto sociale è stato totalmente distrutto e l’atomizzazione degli individui cresce tanto quanto cresce l’egoismo e l’avidità dell’essere umano, sarebbe oltremodo miope non pensare di rideterminare l’ambito di influenza attraverso la creazione di comunità resistenti e persistenti, che si legano ad una visione marxista-leninista che mira all’abbattimento delle classi e quindi dello stato.
Saranno queste “comunità resistenti e persistenti” che in qualche modo stiamo andando a creare laddove il capitale ha distrutto tutto e che in qualche modo manteniamo vive laddove il sentimento comunitario è riuscito a resistere alle barbarie del capitalismo