2001-2021: VOLEVAMO PARLARE DI GENOVA
🧯 Informazioni, spunti, opinioni di parte, immagini a 20 anni dalle giornate del G8 di Genova🧯
👉🏾 CAPITOLO 1 – IL MONDO INTORNO A GENOVA (panoramica breve della società umana del 2001)
👉🏾 CAPITOLO 2 – IL MOVIMENTO PRIMA DI GENOVA (il periodo dei controvertici)
👉🏾 CAPITOLO 3- COSA E’ SUCCESSO A GENOVA (le piazze oltre gli scontri)
CAPITOLO 1 – IL MONDO INTORNO A GENOVA (panoramica breve della società umana del 2001)
-A- NEL MONDO ED IN ITALIA
1- LA FINE DELLA STORIA
Nel 1991 finiva l’esperienza dell’Unione Sovietica e con essa, per la maggior parte dell’opinione politica, finiva anche l’alternativa politica ed economica rappresentata dal comunismo reale, contrapposta all’economia di mercato dei “paesi democratici occidentali”.
Il crollo dell’Unione Sovietica per implosione interna esaltava i/le sostenitori/trici del pensiero neoliberista nelle università, nei governi, tra i giornalisti e le giornaliste.
“Siamo alla fine della storia” dicevano i/le più accanit* sostenitor* del mercato. Secondo loro si era infine giunti al culmine della società umana, la dove il progresso tecnologico stimolato dal capitalismo incontra la democrazia liberale, l’unica organizzazione politica della società capace di lavorare per il benessere collettivo…teoricamente.
Nel 2001 era già evidente quanto e come fosse falsa questa interpretazione della storia.
Le disuguaglianze sociali si scaricavano violentissime all’interno paesi ricchi su fasce di popolazione emarginate come donne, immigrati ed immigrate, poveri e povere.
Ancora più netto era lo stato di miseria dei paesi più poveri del pianeta. Distrutti dall’inquinamento, dalla povertà, da regimi dittatoriali mantenuti proprio per permettere all’occidente di vivere nell’opulenza.
La supposta “fine della storia” era solamente fine del rapporto bipolare tra le due potenze e l’inizio di una nuova fase di instabilità sotto lo strapotere degli Stati Uniti D’America, ora liberi di imporre il proprio modello di sviluppo incontrastati.
2- TANGENTOPOLI E LA 2^ REPUBBLICA
Nel 1992 iniziava in italia il terremoto politico conosciuto giornalisticamente come “Tangentopoli” che si legava ad una serie di inchieste del tribunale di Milano chiamate genericamente “Mani pulite”.
A partire da “banali” indagini sulla corruzione e i legami tra dirigenti politici locali e imprenditori, emerse uno sterminato panorama di corruzione che coinvolgeva nel profondo i principali partiti italiani (Democrazia Cristiana e Partito Socialista per primi).
Emerse quindi che la corruzione era sistematica e costante in tutto il paese, in ogni ambito, guidata e mantenuta dai partiti politici. L’esplodere di questo scandalo cancellò completamente i partiti stessi che per oltre 50 anni avevano popolato il parlamento italiano. Tranne alcuni partiti di sinistra, le restanti formazioni partitiche furono costrette a sciogliersi per l’altissimo numero di indagati e condannati.
Emersero così nuovi pariti come Lega Nord , Allenanza Nazionale e Forza Italia. Si parlò di fine della Prima Repubblica, il disinteresse e la sfiducia della popolazione italiana nei confronti della politica istituzionale raggiunse i minimi storici.
Nel 2001 era in carica il secondo governo Berlusconi. La politica parlamentare non rappresentava una valida alternativa per ottenere reali
miglioramenti delle proprie condizioni di vita.
3- LA FINE DEI PARTITI DI MASSA
Con la scomparsa del Partico Comunista e della Democrazia Cristiana, e di tutti gli altri partiti minori, si parlò anche di fine del partito di massa, ovvero di quelle organizzazioni di grandi dimensioni e capillarmente organizzate nel territorio che, tramite un’ideologia di base complessa e articolata, cercavano di rappresentare gli interessi di larghe fasce della società (classi, ceti sociali, comunità di fede) all’interno del parlamento. Nacquero diverse forme di partito: di protesta, di rappresentanza, localista/territoriale.
Nacque la Lega Nord, che rappresentava l’insofferenza diffusa nella popolazione del nord nei confronti del governo centrale di Roma che
reputavano infeccicace ed inefficiente.
Nacque Forza Italia, partito fondato da Silvio Berlusconi che per i seguenti 20 anni (da 94 al 2011 circa) sarà il personaggio principale della politica italiana.
Nasceva Alleanza Nazionale dalla scissione del Movimento Sociale Italiano, ovvero il partito che raccoglieva l’eredità del ventennio fascista.
A sinistra la fine del Partico comunista diede il via al proliferare di partiti piccoli e piccolissimi, rappresentanti delle diverse fedi e visioni, tra più importanti il PDS.
La fine dei partiti di massa seguiva il cambiamento profondo della società italiana. Da paese industrializzato, cioè produttore di beni, si avviava a diventare paese erogatore di servizi, si modificavano le forme di produzione della ricchezza e di impiego della forza lavoro. Dal lavoro operaio diventava centrale il lavoro cognitivo. Pur rimanendo evidenti le differenze sociali legate al reddito e al rapporto di lavoro, la società non era più attraversata dalle medesime spaccature orizzontali che dividevano ampie fette della popolazione da più di un secolo.
Di fatto scompariva la possibilità di leggersi come un unico gruppo sociale contradistinto dalle medesime condizioni di vita, lavorative, abitative, sociali. Nonostante permanessero le stesse grosse disuguaglianze economiche e sociali.
B- LE MULTINAZIONALI
Con la fine della guerra fredda si sviluppò un fenomeno economico e sociale fino a quel momento rimasto in ombra.
Grosse imprese di mercato, quasi tutte statunitensi ma anche europee, giapponesi ed in seguito russe e cinesi, operanti nel campo dell’energia, dell’estrazione di materie prime fino all’abbigliamento e alla ristorazione, poterono espandersi in tutto il mondo invadendo nuovi mercati e depredando il pianeta di materie prime da convertire in prodotti da vendere nei paesi più sviluppati.
Con la scusa di diffondere ricchezza e abbassare il prezzo finale, il mondo intero venne colonizzato in nome del libero mercato, promettendo di portare ricchezza e benessere.
Nasce in questi anni il WTO, organizzazione mondiale del commercio, con il preciso obbiettivo di favorire la diffusione del mercato libero, talvolta imponendolo alle piccole economie locali che ne vengono naturalmente stritolate.
Infine lo sviluppo delle multinazionali avveniva in moltissi paesi sviluppando accordi sottobanco con dittatori o regimi militari a cui venivano garantiti lauti compensi per strappare concessioni e permessi.
Spesso le popolazioni locali venivano cacciate per questo dai propri territori, per poi essere impiegate come manodopera a basso costo nella
produzione.
–GLOBAL E NO GLOBAL
Alla fine della storia e alle multinazionali, al WTO si opponeva il movimento no global (o alter-globalista).
Globalizzazione economica di produzione significa omologazione
planetaria dei consumi.
Tutt* lo stesso cibo, gli stessi vestiti, gli stessi prodotti editorili (film, libri, musica).
Globalizzazione economica significa scaricare sulle popolazioni più povere le esternalità che l’omologazione planetaria del consumo comporta: l’inquinamento dell’aria e dei mari, l’abbattimento delle foreste per ricavare allevamenti, la distruzione di ecosistemi per ottenere materie prime per l’industria high tech cosi come il lavoro minorile, le paghe sotto il livello di sopravvivenza, le baraccopoli nei sobborghi delle città.
Il movimento No-global affermava la necessità della globalizzazione dei
diritti ed esaltava le differenze territoriali. Diritti sessuali, politici, diritto all’auto determinazione dei popoli, diritto all’autonomia.
Doveva essere globalizzata la cura del pianeta e il rifiuto al sistema di devastazione costante dell’ecosistema. Il popolo no global, insieme delle lotte locali che contrastavano la globalizzazione economica, agiva localmente e pensava globalmente (think global, act local) al fine di coordinare tutti i piccoli movimenti di resistenza e riappropriazione in un unico movimento globale di alternativa, per una società più giusta.
C- I SUCCESSIVI 20 ANNI
Il neoloiberismo non rende il pianeta più felice.
Nonostante i teorici della fine della storia, che ci raccontano il neoliberismo come il culmine del progresso tecnico-scientifico, reso possibile dal sistema capitalistico di produzione unito alla democrazia liberale (raccontata come unica forma di governo capace di rappresentare una società complessa e frammentata), possiamo notare in maniera inequivocabile che il trionfo del neoliberismo NON HA condotto a quella diffusione del benessere su scala planetaria che era stato previsto con matematica certezza. Nè la democrazia ha permesso una partecipazione attiva alla politica e alla cura della comunità e dei territori.
La crisi economica del 2008 e la pandemia ci hanno dimostrato come il sistema sopravviva solamente grazie a continue crisi che gli permetono di divorare altri e più profondi spazi di vita sociale, mentre distrugge il pianeta.
Il neoliberismo cerca e crea il suo nuovo nemico.
Di lì a poco, nel Settembre del 2001, l’attacco alle torri gemelle avrebbe aperto un nuovo scenario mondiale di conflitto e scontro, questa volta su base etnico-culturale, con parti del mondo islamico.
E’ quindi impossibile non notare come, se da una parte l’imperialismo economico del neoliberimo contribuisca a creare oppositori che gli muovono guerra, dall’altra questi oppositori sono perfettamente funzionali al sistema che ritrovando un grande nemico da combattere può nuovamente compattare l’opinione pubblica e mettere a tacere le voci di protesta, come quelle che si alzavano determinate e forti nei giorni del
g8 di Genova.
A partire dal G8 di Genova diventa sempre più evidente come il movimento antagonista ed extraparlamentare di sinistra si concentri sempre più su una politica difensiva: non si tratta più di lottare per la rivoluzione di un sistema ritenuto ingiusto, di attaccare quel sistema proponendone con forza un altro (e tante sono le alternative proposte, alcune anche realizzate a livello locale), ma di difendere i diritti acquisiti.
Come disse qualcuno, il movimento si trova nell’infelice posizione di dover difendere la democrazia da sè stessa.
CAPITOLO 2 – IL MOVIMENTO PRIMA DI GENOVA (il periodo dei controvertici)
IL POPOLO DI SEATTLE
Le contestazioni dei movimenti No-Global per il vertice WTO di fine novembre 1999 a Seattle sono un momento di convergenza delle lotte contro il neoliberismo imposto a colpi di summit di istituzioni finanziarie internazionali .
Attraverso internet cresce il nome del ‘Popolo di Seattle’: il ‘Movimento dei movimenti’.
Questo eterogeneo popolo No-Global è un insieme internazionale di realtà politiche radicali, sindacati ed associazioni a favore della remissione del debito dei paesi poveri, per l’ambientalismo, il pacifismo e per il diritto al lavoro.
I SOCIAL FORUM
All’interno del Popolo di Seattle matura l’esigenza di creare una piattaforma comune di coordinamento dei percorsi politici a livello mondiale: il Social Forum Mondiale.
Il primo Social Forum Mondiale è chiamato a Porto Alegre a fine gennaio del 2001, in opposizione al WTO a Davos.
Nelle conferenze di Porto Alegre si incontrano i rappresentanti di lotte complementari, dai movimenti occidentali, alle Ong, fino alle delegazioni zapatiste, con l’intento di cercare una sintesi contro le politiche liberiste propugnate attraverso i summit degli Organismi Internazionali dai Paesi economicamente più sviluppati.
RETI ITALIANE E MOVIMENTO A GENOVA
Il Genoa Social Forum (GSF) viene organizzato nel solco del Social Forum di Porto Alegre come struttura capace di contestare il G8 di Genova del Luglio 2001 proponendo un’alternativa al grido di ‘Voi G8 Noi 6 miliardi‘. Si ha l’adesione di più di 300 fra associazioni, le Ong, la Rete Lilliput, campagne internazionali, le Tute bianche e i centri sociali del Nord-Est e della Campania.
Attraverso laboratori autogestiti divisi per aree tematiche e giornate di mobilitazione il GSF porterà nella città decine di migliaia di manifestanti.
Nonostante l’intento del GSF di trovare un momento di confronto con i rappresentanti del G8 il Governo Amato e poi quello Berlusconi eviteranno qualsiasi dialogo.
CAPITOLO 3- COSA E’ SUCCESSO A GENOVA (le piazze oltre gli scontri)
19 LUGLIO
Il primo giorno di mobilitazioni è ricordato dagli articoli del tempo come “una giornata pacifica e senza incidenti”, nel quale si è sviluppato un corteo con più di 50.000 persone sulle tematiche dell’antirazzismo, dei diritti per i/le migrant* e rifugiat*.
Viene raccontata come una piazza in cui si manifestava in mille modi, dalla sua composizione estremamente eterogenea; una piazza dalle mille lingue, grazie a persone arrivate da tutto il mondo.
Il clima era di festa, era una piazza colorata piena di bambini e bambine, di canzoni, ma soprattutto slogan che rivendicavano in modo chiaro ciò che era necessario, e che lo è ancora, ovvero più diritti, un mondo senza confini, essere cittadin* globali.
Sono tematiche potenti e ancora fortemente attuali a vent’anni di distanza. Avevamo ragione noi, come dimostra il fatto che la maggior parte delle problematiche di cui si parlava in quelle piazze, oggi si sono avverate.
Gli articoli dei giornali nazionali dell’epoca tendono unicamente a sottolineare il fatto che sia stata un giornata senza tensioni di piazza, in cui era presente il “blocco nero” giunto da tutta Europa, composto da “facce cattive, ma almeno per oggi, solo nell’aspetto”.
Si parla dei continui allarmi bomba nelle grandi città italiane, ma lasciano completamente in secondo piano le rivendicazioni fondamentali della piazza, l’enorme ed eterogenea partecipazione ed altri momenti di festa e gioia che si sono svolti quella giornata.
20 LUGLIO
La giornata del 20 luglio 2001 è ricordata per le violenze di piazza e soprattutto per la morte di Carlo Giuliani, ucciso dalle forze dell’ordine; ma quella giornata non fu solo questo.
Tutta la mattina vede l’arrivo di treni e pullman dall’Italia e dal resto di Europa per le grandi manifestazioni della giornata:
– la piazza sui diritti globali del lavoro con Cobas e il Network per i diritti Globali;
– il corteo dei Disobbedienti caratterizzato dalle tute bianche, che percorreva via Tolemaide partendo dallo stadio Carlini;
– il corteo della rete Lilliput con sit-in in piazza Manin;
– il corteo e lo sciopero generale organizzato dagli Anarchici contro il g8 a Sanpierdarena.
I cortei partirono in mattinata e nel primo pomeriggio la situazione iniziò a precipitare: da una parte viene attaccato il carcere Marassi dall’altra si assiste alla violentissima carica al corteo delle tute bianche in Via Tolemaide, definita come il perno su cui girano le sorti del G8.
La conformazione della via segnalava già che sarebbe stata una carneficina: via Tolemaide è una strada stretta, chiusa da un lato dalle mura della ferrovia e dall’altro dalle lati stradine e cortili interni; al termine della via il tunnel che conduce al Marassi.
Il corteo degli anarchici a Sanpierdarena, invece, non fu oggetto di scontri. La scelta, d’altronde, era stata chiara fin dall’inizio: “fuggire il circo mediatico, le dichiarazioni roboanti, la sfida alla zona rossa“, dove si riunivano i capi di Stato del G8 per concentrarsi sullo sciopero generale per motivi politici (contro il G8, appunto) che portò in piazza più di 10 000 lavoratori e lavoratrici.
La prima carica dei carabinieri parte poco prima delle 15 e colpisce il corteo frontalmente, quando è ancora a 400 metri dalla fine del percorso autorizzato. I carabinieri non usano solo i tonfa, ma diversi tipi di oggetti contundenti, mazze di ferro comprese. Poi cominciano le cariche laterali, che tagliano il corteo in diversi spezzoni.
La spiegazione ufficiale data delle forze dell’ordine durante il processo per devastazione e saccheggio a carico di 25 compagn* (non ci sarà alcun processo riguardo alla gestione della piazza da parte dell’Arma) afferma che il reparto dei carabinieri doveva andare al Marassi per fermare il Black Bloc, ma il funzionario aveva perso la cartina e non essendo di Genova si è ricordato come unico punto di riferimento il tunnel che porta alla stazione dei treni in via Tolemaide.
Alla radio della centrale operativa si sentono caribinieri dire “Siamo in settantadue, incazzati come bombe, mandateci a lavorare, per Dio.”, altri: “Ci avevano detto che eravamo qui per le emergenze, se non è emergenza questa, è da bruciarli tutti”.
Nel momento in cui è stato dato l’ordine della carica, dalla Centrale Operativa Telecomunicazioni arriva il comando “[…] devi fare veloce e devi massacrare. Capito? Devi massacrare.”
Poi, dopo diversi minuti, alla radio della questura si sente il dirigente della centrale operativa Zazzaro : “No, hanno caricato le Tute bianche porco giuda! I carabinieri dovevano andare dall’altra parte e non in via Tolemaide, che cazzo ci fanno lì e adesso hanno attaccato le Tute bianche.”
Il corteo, composto da circa 10 mila persone, infatti, era stato autorizzato precedentemente.
Quasi in contemporanea il poliziotto responsabile del corteo, Mario Mondelli, chiede informazioni. “Scusa, ma cosa ci fanno i carabinieri in fondo a via Tolemaide?”.
La concatenazione di eventi che portarono alla morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda alle 17.27 comincia con quella carica delle 15. Carlo sarà ucciso da un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica, che i suoi superiori non considerano in grado di stare ancora in piazza (per questo si trova sul defender, perchè doveva essere “evacuato”) ma che potè impugnare la pistola ben prima che Carlo si chinasse pre prendere il famoso estintore e che sparò i due fatidici colpi ad altezza uomo.
Il defender su cui si trovava il carabiniere, subito dopo gli spari, passa sopra il corpo di Carlo due volte.
Nei minuti successivi, fotografie riprese dall’alto mostrano i carabinieri che colpiscono la testa di Carlo con un sasso, e poi minacciano (appoggiandogli la testa contro il corpo insanguinato di Carlo) un fotografo presente in piazza Alimonda.
All’arrivare delle telecamere della stampa, diventa chiaro il perchè Carlo a terra venne colpito con un sasso: in quel momento, il vice questore Lauro mette in scena il primo dei tentativi di depistaggio tentati negli anni dalle FDO. Lauro indica un manifestante a favore della telecamera e urla “Bastardo! Tu l’hai ucciso! Con il tuo sasso!“.
Non sarà aperta nessuna indagine sulla morte di Carlo. Nel maggio 2003 la GIP Elena Daloiso archivia il procedimento stabilendo che Placanica ha agito per legittima difesa, ricorrendo alla nozione di “uso leggittimo delle armi”. Viene abbracciata totalmente anche la teoria (altro tentativo di depistaggio) per cui il proiettile che uccise Carlo sarebbe in realtà stato deviato da un sasso.
21 LUGLIO
Il corteo inizia in Corso Italia e fu partecipato da oltre 300.000 persone (il triplo rispetto a quelle previste) provenienti da ogni parte del mondo, non solo per tutte le rivendicazioni fondamentali che portavano avanti da anni e mesi le piazze no global, ma anche perché era stata uccisa una persona in corteo il giorno prima.
La tensione dopo i fatti del giorno prima era altissima sia da una parte che dall’altra, e cresceva man mano che arrivavano nuove notizie sul ragazzo: si sapeva che era di Genova, era un ragazzo di 23 anni e si chiamava Carlo Giuliani.
Sin dalla mattina iniziarono i primi scontri e durarono fino al tardo pomeriggio: furono cariche estremamente violente, venne spezzato anche in questo caso il corteo sul lungomare e l’uso del gas lacrimogeno CS (vietato in guerra) e degli idranti con liquido urticante fu massivo; gli elicotteri volano bassi sul corteo, con cecchini che si sporgono e mirano verso la folla. La situazione era tale che i/le cittadindi Genova davano rifugio ai/alle manfestant negli androni delle case.
I fatti della giornata culminarono con la Diaz e Bolzaneto.
LA MACELLERIA MESSICANA
Il complesso Pascoli-Diaz-Pertini è costituito da due edifici assegnati dal comune di Genova al Genoa Social Forum come sede del media center ed era stata adibita anche come luogo dove passare la notte.
La sera di Sabato 21 luglio, mentre molti manifestanti che dormono nella scuola sono pronti a tornare a casa, alcuni plotoni della polizia fanno irruzione alla Pascoli (sede del media center) e alla Pertini (dove c’è il dormitorio). La motivazione è la presunta presenza in quegli edifici dei Black Bloc che nei giorni precedenti si erano scontrati con le forze dell’ordine. Come sarà dichiarato in sede processuale, in quel momento era sentita dai vertici delle forze dell’ordine la necessità di effettuare il maggior numero di arresti possibile per poter recuperare l’immagine delle forse dell’ordine che non erano riuscite a fermare gli atti vandalici e gli scontri di quei giorni. E per questo si decide di colpire la scuola Diaz, dove si prevede una resistenza minima (e così sarà).
Le forze dell’ordine cominciano a pestare i mediattivisti presenti ancora prima di arrivare al cancello della scuola; lo sfondano con un blindato ed invadono la Pertini, mentre dentro la Pascoli si sfogano contro i computer di legali, medici e mediattivisti oltre che, limitatamente, sulle persone.
Nella Pertini avviene una carneficina. La violenza praticata su tutt* indistintamente venne definita (da uno dei poliziotti presenti) una “macelleria messicana”: praticamente tutte le persone al piano terra perdono i sensi, alla violenza fisica si uniscono le umiliazioni accompagnate da minacce di stupro, la distruzione di telecamere e oggetti personali.
I feriti gravi vengono scortati all’ospedale, e i 93 arrestati finiranno (indipendentemente dalla loro condizione di salute) alla caserma di Bolzaneto.
Il giorno dopo venne tenuta una conferenza stampa in cui venne dichiarato che tutte le persone nell’edificio sarebbero state accusate di resistenza aggravata a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio, inoltre vennero mostrate “le armi” trovate nella scuola, tra cui due molotov, che si scoprì che furono in realtà trovate dalle forze dell’ordine durante gli scontri della mattina e posizionate nella scuola al momento dello sgombero. Le altre armi comprendevano coltelli da cucina, martelli e picconi presi da un cantiere adiacente rimasto chiuso fino all’ingresso della polizia e stecche degli zaini (descritte come “spranghe”).
Le indagini sui fatti della Diaz saranno fortemente ostacolate dalle FDO: le due molotov spariranno dai reperti giudiziari nel 2007, ancora oggi non esiste una lista completa dei 270 poliziotti che fecero irruzione nella Diaz, nessuno degli agenti imputati per il processo Diaz si presenterà in aula, un poliziotto fingerà di essere stato accoltellato procurandosi dei tagli sulla divisa, ancora oggi una delle firme presenti sul verbale di arresto dei 93 manifestanti prelevati dalla Diaz non è stata riconosciuta.
Nessuno degli indagati delle FDO finirà in carcere, molti reati cadranno in prescrizione, per altri ci sarà la sospensione della pena, per altri ancora verranno previsti risarcimenti pecuniari. Molti degli indagati saranno promossi e faranno carriera negli anni successivi.
LA CASERMA DEGLI ORRORI
Nelle settimane precedenti al g8, viene individuata la caserma di Bolzaneto (ai confini della città) come luogo di incarcerazione temporanea per tutti gli arresti condotti dalla PS durante le giornate del g8: da lì, nel giro di poche ore, i detenuti avrebbero dovuto essere trasferiti nelle carceri delle province vicine (quelle di Genova sono sovraffollate e interne al tessuto urbano).
Non si saprà mai quanti manifestanti siano transitati per Bolzaneto, ma sicuramente ci arriveranno i reduci della Diaz. Gli avvocati in servizio in quei giorni e il Genoa Social Forum non saprà dell’esistenza del carcere temporaneo a bolzaneto finchè diversi menifestanti cominceranno a “sparire”. Perfino le ambasciate straniere perderanno traccia dei prigionieri fino al loro arrivo nelle carceri di destinazione.
Ciò che accade dentro la caserma sarà descritto da decine di deposizioni: persone provenienti da nazioni diverse, che aprlano lingue diverse, racconteranno tutti le medesime cose.
Dentro Bolzaneto verranno torturate almeno 250 persone.
Sarà negato loro di telefonare, vedere un avvocato, saranno sottoposti a torture fisiche e psicologiche, umiliat* facendoli spogliare davanti ai poliziotti, appartenenti alle forze dell’ordine urineranno su di loro, li picchieranno costringendoli a stare in piedi, nudi, a gambe divaricate per ore e ore; li costringeranno a cantare Faccetta nera, e li picchieranno al grido di cori in favore di Pinochet; spruzzeranno spray urticanti e i medici della caserma (tra cui si distingue Giacomo Toccafondi, mai radiato dall’albo) praticheranno torture e falsificheranno le cartelle cliniche: piercing strappati, capelli tagliati, ragazze denudate davanti a poliziotti maschi, provocheranno la lacerazione della mano di un prigioniero divaricandogli le dita.
Per diverse ore non riceveranno cibo nè acqua (solo la mattina del 22 verrà data qualche bottiglia d’acqua e qualche biscotto), e molti preferiranno urinarsi addosso piuttosto che subire i sopprusi che si verificheranno nei bagni della caserma.
Gli arrestati di domenica provengono dalla Diaz e rimarranno a Bolzaneto per 35 ore. Le persone non italiane verrano portate alla frontiera ed espulse nei giorni successivi, con il divieto di tornare in Italia per 5 anni; le testimonianze nei loro paesi di appartenenza permetteranno di scoprire con fatica cosa accadde, essendo la narrazione mediatica italiana estremamente distorta su tutte quelle giornate.
A causa dell’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento (sarà introdotto solo nel 2016) la maggior parte dei capi d’accusa verso i poliziotti indagati cadrà in prescrizione, il processo si concluderà solo con un risarcimento per i capi civili dell’accusa.
I recenti fatti del carcere di Maria di Capua Vetere sono stati definiti una nuova Bolzaneto.
Non si possono definire i fatti come colpa di qualche fascista esaltato o di qualche “mela marcia”: è l’intero albero ad essere avvelenato.
L’insieme di circostanze particolari verificatesi a Genova in quei giorni (derivanti dall’incapacità organizzative delle FDO e da un preciso volere politico di mettere a tacere i manifestanti, con l’uso di violenza e spostando il dibattito sulla questione dell’ordine pubblico) ha creato le condizioni adatte all’esprimersi di paradigmi comportamentali acquisiti e consueti all’interno delle forze dell’ordine.